Il multipolarismo è una rivoluzione, non un pranzo di gala
Avevamo pensato, o forse, per meglio dire, avevamo sperato che il mondo multipolare potesse sorgere grazie all’impetuosa crescita economica dei Paesi emergenti con in testa la Cina. In sostanza, una transizione pacifica a un nuovo ordine geopolitico che avrebbe superato l’imperialismo basandosi sullo sviluppo delle forze produttive e sugli scambi commerciali più equi.
Eppure sapevamo che non poteva essere così, che era solo idealismo: il marxismo ci aveva avvertito già fin dalle sue origini che la strada tracciata era un’altra. Non solo perché la guerra ci sarà finché esisterà l’imperialismo, col suo potenziale di saccheggio e di dominazione, ma soprattutto perché ogni cambiamento epocale deriva dall’esplosione del conflitto di classe, e spesso ciò avviene in forme violente: la borghesia nascente, per portare l’Occidente alla liberal-democrazia, ha decapitato i monarchi e ha compiuto sanguinose rivoluzioni in Francia e negli Stati Uniti. Persino in Ticino abbiamo avuto una rivoluzione liberale-radicale a suon di cannonate. Oggi, i Paesi emergenti che hanno subìto finora a capo chino ogni angheria occidentale (come il bombardamento dell’ambasciata cinese di Belgrado ad opera della NATO nel 1999, la distruzione della Giamahiria Araba Popolare Socialista di Libia nel 2011, il colpo di stato banderista in Ucraina nel 2014, il tentato golpe gülenista in Turchia nel 2016 o in generale la balcanizzazione delle nazioni non allineate, ecc.), si sono stancati e hanno deciso che, purtroppo per noi, l’uso della forza non è più un tabù e soprattutto non è più un monopolio degli USA, dell’UE e dei loro alleati.
Ipotizzare, quindi, nuovi scenari di guerra dopo l’Ucraina – che rappresenta una cesura di fase storica – a questo punto è tutt’altro che un’idea peregrina: la Russia ha dimostrato che se gli USA e l’UE non arrivano a patti con le buone, il Cremlino procederà con le cattive (e questo – ci tengo a sottolinearlo – varrà anche se non ci sarà più Vladimir Putin al governo!). Non è ovviamente un auspicio perché i comunisti mai caldeggiano la guerra, ma è un dato di fatto, la cui pericolosità occorre però trovare il modo di disinnescare.
La pace, infatti, non è un valore etico-morale astratto, e nemmeno è data una volta per tutte: la pace, per noi marxisti, è un elemento squisitamente politico che muta con il cambiare dei rapporti di forza nella società e nel mondo. Se un tempo la Russia si limitava a lamentarsi per l’estensione della NATO ai propri confini, oggi è abbastanza forte per imporsi in altri modi e se non le si forniscono delle garanzie serie per la sua sicurezza nazionale… agisce! E lo stiamo vedendo. Nulla di più e nulla di meno rispetto a quando l’URSS posizionò i propri missili su Cuba, a ridosso dei confini americani: Washington minacciò l’invasione dell’isola e solo la rinuncia del segretario comunista Nikita Krusciov evitò una guerra nucleare nel 1962. Ora la rinuncia la deve però fare qualcun’altro: il presidente presuntamente democratico Joe Biden! Il quale sta in cabina di regia con l’obiettivo di vincolare l’Europa agli USA, frenando così l’accelerazione verso il multipolarismo che un’Europa indipendente collegata alla Nuova via della seta avrebbe favorito.
Per anni l’Occidente ha invocato il diritto internazionale senza però mai rispettarlo: illegale era ad esempio l’invasione dell’Iraq, ma anche il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. Eppure, nessun Paese occidentale se ne è preoccupato mentre, oggi, gli stessi si indignano per l’invasione dell’Ucraina e il riconoscimento del Donbass da parte russa. Questa doppia morale è ormai smascherata e i Paesi emergenti non si sentiranno più obbligati a rispettare ciò che gli USA e l’UE per primi violano sistematicamente da anni.
Ora, la domanda è questa: è fattibile invertire questa spirale di violenza? La risposta può ancora essere affermativa ma solo a patto di non trincerarsi dietro visioni euro-centriche che si illudono che l’Occidente sia il faro della civilizzazione umana e possa continuare a egemonizzare il mondo con i propri valori unilaterali fatti passare per… universali. Occorre subito riconoscere che a differenza di 30 anni fa oggi vi sono Paesi emergenti (o forse già emersi) che non subiranno più e anzi pretendono garanzie sulla loro sicurezza e la loro indipendenza: la NATO non deve quindi più estendersi verso Est e gli USA devono ritirarsi dalla penisola coreana e dal Sud-Eest asiatico e tornare a casa loro: “yankee go home!” è tornato ad essere lo slogan più pronunciato dai popoli oppressi del mondo! In questo modo la Russia si potrà fermare militarmente e la Cina potrà continuare col suo approccio pacifico basato sulla cooperazione win-win.
Se, per contro, queste decisioni di assoluto equilibrio venissero meno o nemmeno venissero prese in considerazione, e quindi i Paesi emergenti continuassero a sentirsi minacciati e soffocati nelle loro aspirazioni di indipendenza, allora le guerre continueranno a scoppiare e, sul piano interno, in Europa occidentale – per far fronte al peggioramento delle condizioni di vita che già oggi emergono a causa delle sanzioni contro la Russia – vivremo una torsione autoritaria e militarista oltre che una totale subalternità alle multinazionali atlantiche, le quali non saranno però in grado, sul medio periodo, di garantire benessere sociale ed economico alla popolazione di un’area destinata al declino. La banalizzazione del nazifascismo ucraino da parte europea è un segnale preoccupante che ci riporta alla mente l’avvertimento di Ernesto ‘Che’ Guevara: “la democrazia liberale è il sistema di governo della borghesia quando non ha paura, il fascismo quando invece ha paura!”.
Visto che l’Europa e la Svizzera si ritrovano con una classe politica inetta e irresponsabile al potere, solo l’azione dal basso, popolare, potrà impedire che il peggio possa avvenire. Ecco perché bisogna rafforzare sul piano di massa le organizzazioni come il Movimento Svizzero per la Pace e i Sindacati, mettere al centro dell’agenda politica il rispetto scrupoloso della neutralità e della sovranità nazionale, senza scordarsi dell’importanza che vi sia un Partito Comunista, con una forte componente giovanile priva cioè di pregiudizi passatisti, che sia presente elettoralmente nelle istituzioni per frenare le tendenze più anti-popolari e belliciste del Paese.